
L’automazione industriale sta vivendo una costante rivoluzione. Sempre più aziende stanno esplorando un approccio software-defined, in cui il controllo senza PLC dedicati diventa realtà. Questo nuovo paradigma – a volte chiamato Software-Defined Automation – promette di portare la flessibilità del software nel mondo dell’OT (Operational Technology), avvicinando ancora di più l’automazione industriale alle pratiche dell’IT. In questo articolo approfondiremo cosa significa automazione industriale software-defined, quali opportunità offre rispetto ai PLC tradizionali e quali rischi e sfide comporta.
Cos’è l’automazione software-defined?
In passato, l’automazione industriale era dominata da sistemi chiusi, spesso proprietari, basati su hardware dedicato come PLC e SCADA. Con una Software-Defined Automation (SDA), invece, il software assume il ruolo centrale nel controllare e gestire i processi industriali, svincolandosi il più possibile dall’hardware specifico. In altre parole, le funzionalità di controllo che un tempo risiedevano esclusivamente in dispositivi fisici specializzati vengono implementate in software eseguibile su piattaforme standard (server, industrial PC, single-board computer, ecc.). Ciò permette molta più flessibilità
In pratica, i componenti hardware “muscolari” – attuatori, motori, sensori – restano presenti sul campo, ma il cervello logico che li controlla può essere virtualizzato o spostato altrove. Questo significa che l’intelligenza di controllo non è più confinata in una scatola specifica per ogni macchina, ma può essere distribuita e orchestrata tramite piattaforme IT centralizzate. Ad esempio, in una Software-Defined Factory basata su cloud, un singolo data center locale può eseguire le istanze software di decine di controllori virtuali per le diverse linee produttive.
Da notare che “software-defined” non significa semplicemente spostare tutto nel virtuale senza criterio. Si tratta piuttosto di decoupling (disaccoppiare l’hardware dal software) per poter evolvere l’automazione con la stessa agilità con cui evolvono le applicazioni IT
Prima di analizzare questi aspetti tecnologici, vediamo però pro e contro di questa filosofia rispetto all’approccio tradizionale con PLC dedicati.
Software-Defined vs PLC tradizionale: Sfide e criticità
Come ogni innovazione, anche l’automazione software-defined presenta vantaggi entusiasmanti ma anche compromessi e interrogativi. Implementare un’architettura di automazione software-defined non è banale. Occorre tenere conto di diverse sfide e trade-off.
Riassumiamo qui di seguito le principali criticità da affrontare quando si valuta un controllo senza PLC tradizionali.
Validazione e test
Un sistema custom ha bisogno di maggiori test per raggiungere il livello di confidenza che si ha con un PLC. I PLC venduti sul mercato subiscono test intensivi e anni di field feedback; un’architettura software-defined magari progettata ad hoc per un impianto deve essere testata in tutte le situazioni (fault di rete, riavvio improvviso, guasto di un modulo container, saturazione CPU, ecc.). Diventa opportuno adottare metodologie di testing automatico (ad es. simulare il processo con un digital twin e verificare le reazioni del controller software), nonché predisporre meccanismi di logging e diagnosi approfonditi. Questo investimento di tempo va considerato nel ROI del progetto.
Gestione della complessità
Centralizzare e unificare può semplificare la gestione a regime, ma durante la progettazione ci si trova di fronte a un sistema più complesso del classico schema “sensore-PLC-attuatori”. Bisogna gestire container, network, sincronizzazioni tra thread, sicurezza informatica, ecc. Serve quindi un’architettura software ben pensata, modulare e manutenibile. L’uso di standard e middleware aiuta (es. DDS, OPC UA PubSub, ecc.), ma è necessario disporre di una visione d’insieme e di documentazione rigorosa, per evitare che la complessità generi inaffidabilità.
Garantire il determinismo
Ottenere prestazioni real-time comparabili a un PLC richiede sforzi aggiuntivi. La sfida è minimizzare jitter e latenze con RTOS, tuning e validazione rigorosa. Bisogna identificare quali parti del controllo devono essere hard real-time e isolarle opportunamente (es. ciclo PID critico in un task dedicato ad alta priorità.
Trade-off economici di breve vs lungo termine
Dal punto di vista economico, la sfida è bilanciare costi e benefici su orizzonti diversi. Un’architettura software-defined potrebbe costare di più in sviluppo iniziale (più progettazione software, hardware custom, test, formazione), ma potenzialmente ripagare nel medio-lungo termine con risparmi operativi (meno fermi, aggiornamenti più semplici, adattabilità). Occorre quindi che il management comprenda questa differenza temporale, evitando di aspettarsi un payback immediato solo sul costo hardware. Allo stesso tempo, bisogna scegliere battaglie: non ha senso fare un sistema super flessibile via software se poi l’impianto è statico per 15 anni; viceversa, in contesti di produzione molto variabile o macchine modulari, l’investimento può dare frutti importanti. Un’analisi TCO (Total Cost of Ownership) lungimirante è quindi parte integrante della sfida.
Casi di studio e applicazioni reali
Teoria a parte, cosa succede sul campo? Per fortuna esistono già esempi concreti di automazione senza PLC classici, che mostrano successi e lezioni apprese. Uno dei casi più interessanti, tutto italiano, viene dal settore packaging: la collaborazione tra SEW-Eurodrive e Clevertech Group, presentata alla fiera SPS Italia 2024. In questo progetto è stato implementato un sistema di controllo con PLC virtualizzato, dove IT e OT si integrano strettamente e il controllo dei processi è completamente digitalizzato.
La soluzione sviluppata, mostrata in anteprima a SPS 2024 di Parma, consiste in un PLC virtuale in cloud che controlla la cella senza necessitare di un quadro elettrico di controllo a bordo macchina. Tutto il sistema di automazione della cella è stato virtualizzato su server: i robot, nastri trasportatori, sensori dell’isola inviano segnali al server ed eseguono i comandi ricevuti da esso tramite una rete industriale. I risultati osservati sono molto promettenti. Innanzitutto, per i costruttori di macchine come Clevertech, si è visto che con la virtualizzazione non ci sono più limiti fissi imposti dall’hardware: ad esempio, se serve più potenza di calcolo per aggiungere una funzione, basta allocarla sul server; se un cliente chiede un altro protocollo di comunicazione, lo si implementa nel software senza cambiare componenti in campo.
Il caso SEW-Clevertech è solo uno dei primi esempi concreti in Italia di questo nuovo paradigma, ma non l’unico. Anche colossi come Bosch Rexroth hanno lanciato soluzioni simili: la loro piattaforma ctrlX adotta un approccio “PLC app-based”, dove le funzioni di controllo sono app containerizzate su un sistema Linux real-time, con un marketplace aperto di componenti.
Anche Siemens ha evidenziato l’importanza della software-defined automation integrandola nella sua vision di fabbrica del futuro. E startup specializzate (come la citata SDA) stanno collaborando con costruttori di macchine per creare linee produttive più intelligenti e flessibili.
Conclusioni
L’automazione industriale software-defined rappresenta una frontiera entusiasmante, dove IT e OT convergono per dare vita a impianti più flessibili, interconnessi e intelligenti. Abbiamo visto come “togliere di mezzo” il PLC tradizionale dedicato possa portare benefici in termini di agilità, interoperabilità e innovazione, aprendo la strada a fabbriche dove l’intelligenza è nel software e l’hardware diventa una commodity. Allo stesso tempo, abbiamo esplorato i rischi e le sfide: non c’è pasto gratis, e aspetti come il determinismo temporale, l’affidabilità sul campo e la sicurezza non possono essere sacrificati sull’altare della flessibilità. Probabilmente il futuro prossimo non vedrà una scomparsa totale dei PLC – anzi, questi dispositivi evolveranno ulteriormente integrando sempre più caratteristiche da computer. PLC e software-defined non sono necessariamente in contrapposizione, ma possono coesistere in architetture ibride: ad esempio, PLC più piccoli e semplici in campo per i compiti estremamente tempo-reale e di safety, orchestrati però da livelli superiori software-defined che ne coordinano il comportamento e collegano il tutto ai sistemi informativi. Per ingegneri, progettisti e sviluppatori nel settore, il messaggio è di tenersi aperti al cambiamento.